Antonio Pitta, «Il “discorso del pazzo” o periautologia immoderata? Analisi retorico-letteraria di 2 Cor 11,1–12,18», Vol. 87 (2006) 493-510
Forced to defend himself from the slanders spread by his adversaries in Corinth
Paul accepts in 2 Cor 11,1–12,18 their challenge and draws a comparison situated
on the razor’s edge of the periautologia or of self-praise. More than being a fool’s
speech his discourse is an immoderate one and it stands up only because Paul’s
competitors lack measure and moderation. The main thesis of the section (2 Cor
11,5-6) announces an apology of Paul’s superiority which will be proved not by
means of verbose or empty elocution but by the facts: gratuity in evangelization,
ministerial relationships with Christ, visions and revelations, all of them balanced
by means of a paradoxical boasting in one’s own weakness.
Il “discorso del pazzo†o periautologia immoderata? 507
al v. 21b) che raggiunge l’insensatezza (parafronw'n) di chi sembra
ignorare, ancora una volta, quanto è richiesto a chi intende ricordare
le proprie gesta. Da questo punto di vista è indicativo quanto racco-
manda Epitteto: “Nelle conversazioni evita di ricordare troppo e in
modo esagerato quello che hai fatto e quello che hai rischiato, perché
se per te è bello ricordare i pericoli che hai corso, non lo è per gli altri
ascoltare le cose che ti sono capitate†(48).
Tuttavia Paolo sembra ben consapevole dell’eccessivo vanto di sé
su cui si è attardato con il lungo elenco delle avversità . Per questo il
paragrafo si conclude con la narrazione dell’avversità verificatasi a
Damasco (vv. 31-33), di fronte alla quale si riconosce così debole da
non sembrare un leader esemplare (49). Ancora una volta è illuminante
quanto prescrive Plutarco, nel suo manuale dedicato alla periautolo-
gia: “Per evitare fastidi a chi ha gli occhi malati, si cerca in qualche
modo di mettere in ombra gli oggetti troppo luminosi: così alcuni, in-
vece di ostentare le proprie lodi in tutta la loro luce e purezza, vi insi-
nuano difetti, errori e mancanze leggere, eliminando la possibilità di
attirarsi invidia e irritazione†(Invidiam laudando, Moralia 13F, 543).
Pertanto la narrazione della fuga da Damasco (vv. 32-33) non rap-
presenta affatto un corpo estraneo nella periautologia paolina, di cui
s’ignorerebbe la ragion d’essere (50) né tanto meno una glossa succes-
siva (51), bensì costituisce l’importante contrappeso che bilancia l’im-
moderazione a cui è stato costretto Paolo, per non suscitare il rifiuto
da parte dei suoi interlocutori.
c) L afrosunh delle visioni e delle rivelazioni (2 Cor 12,1-10)
j v
L’ultimo paragrafo delle prove addotte da Paolo a propria difesa è
incentrato sul vanto delle visioni e delle rivelazioni (2 Cor 12,1-10).
Questa volta la posta in gioco è molto alta, in quanto si tratta di un
ambito che può essere tacciato, soprattutto nel contesto culturale di
Corinto, come una forma di u{bri" o di tracotanza irrispettosa della
trascendenza divina, che rasenta l’empietà (52). Tale background in-
(48) EPITTETO, Manuale 14.
(49) Aspetto posto ben in risalto da B.A. SCOTT, “Too Weak to Lead: The
Form and Function of 2 Cor 11,23b-33â€, NTS 41 (1995) 263-276.
(50) Con buona pace di BULTMANN, Der zweite Brief, 219-220.
(51) Così invece H. WINDISCH, Der zweite Korintherbrief (KEK; Göttingen
1924) 363-364 che attribuisce la narrazione al segretario della lettera.
(52) Si noti l’uso del sostantivo u{bri" nel breve elenco peristatico di 2 Cor
12,10 per accennare all’oltraggio inflittogli dagli avversari: è l’unico riferimento
nei cataloghi peristatici paolini.